L’affascinante cultura egiziana aveva rituali per i morti che ancora oggi stimolano la curiosità delle tantissime persone che ogni anno vanno a visitare le piramidi. Queste ultime, infatti, erano monumenti costruiti appositamente per ospitare le spoglie mortali dei faraoni e conservare tutto quello che sarebbe potuto servire loro per condurre un’agiata vita ultraterrena. I rituali connessi con la morte, l’imbalsamazione, i rituali e le tecniche per trattare i cadaveri utilizzate dagli egiziani sono ancora oggetto di studio.
Gli antichi Egizi credevano nella vita dopo la morte. Già nel IV millennio seppellivano i defunti all’interno di semplici fosse ricavate nella sabbia del deserto insieme ad anfore, amuleti, gioielli e armi. Il contatto del corpo con la sabbia e il calore provocavano un rapido essiccamento della salma e una conservazione naturale. Quando poi si passò ad una sepoltura in sarcofago le salme furono infestate di microrganismi e quindi andarono incontro alla decomposizione. Il processo di disfacimento del corpo mortale però era incompatibile con la concezione egiziana della morte, secondo la quale per poter soggiornare nell’aldilà i corpi dovevano conservarsi e mantenersi nella loro interezza. Fu per poter ottenere questo risultato che si iniziò a seppellire i corpi in posizione distesa e si utilizzarono bende di lino impregnate di resina per fasciarlo e modellarlo. All’epoca dell’Antico Regno (2750-2190) si usavano anche supporti per il volto e per il corpo modellati con lo stucco e in parte dipinti. In tremila anni gli Egizi perfezionarono le tecniche di mummificazione che raggiunsero il loro massimo sviluppo durante la XXI dinastia (1080 ca.).
Quando un Faraone moriva la sua salma era trasportata nell’apposito luogo utilizzato per l’imbalsamazione. I sacerdoti per prima cosa estraevano il cervello utilizzando un uncino inserito nella narice. Poi si praticava un’incisione sul fianco sinistro e i sacerdoti procedevano all’estrazione degli intestini, dello stomaco, del fegato e dei polmoni, che venivano lavati e profumati e poi inseriti in appositi vasi detti canopi. Il cuore si lavava e si imbalsamava a parte in quanto poi doveva essere riposto nella gabbia toracica perché sarebbe servito al defunto nella cerimonia della pesatura del cuore (psicostasia). A questo punto il corpo era ricoperto di natron, un sale egiziano molto ricco di carbonato di sodio, per circa settanta giorni per favorirne la disidratazione. Poi il corpo mummificato era lavato, cosparso di profumi e incenso e successivamente bendato. All’interno del sarcofago si inserivano anche gli amuleti che avrebbero protetto il defunto nell’aldilà.
Lo storico Erodoto di Alicarnasso, all’interno del Libro Secondo della sua opera principale, descrive l’Egitto e anche le tecniche imbalsamatorie. Egli afferma che esistessero tre diverse tecniche di imbalsamazione praticate da esperti della materia che si differenziavano per complessità delle procedure e per prezzo. Chiaramente i più abbienti ricorrevano all’imbalsamazione più costosa, che è simile a quella descritta per i faraoni. Esisteva anche una tecnica un po’ meno costosa che consisteva nell’inserire olio di cedro all’interno delle viscere del defunto che poi veniva posto per interno nel salnitro per essere, dopo 70 giorni, consegnato alla famiglia per la sepoltura. Infine per i meno abbienti si purificavano gli intestini con la syrmania, si metteva il corpo per settanta giorni il corpo nel sale e poi lo si consegnava alla famiglia.
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